IL TRIBUNALE Pronunziando nel procedimento n. 684/2007 RGNR e n. 174/2007 R.Trib a carico di Dormishi Andi nato a Durazzo il 7 gennaio 1984: arrestato in flagranza del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998 cosi' come modificato dall'art. 13, comma 5-ter e quinquies, legge n. 189/2002 (unitamente ad altra persona, Louhichi Sofian, la cui posizione e' stata stralciata); sciogliendo la riserva assunta in data 5 aprile 2007 in ordine alla illegittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 2, lett. c) del d.lgs. n. 286/1998 sollevata dal difensore dell'imputato avv. Francesca Binaghi alla predetta udienza, sentite le osservazioni del p.m., rileva quanto segue. La questione di illegittimita' sollevata dal difensore dell'imputato avv. Francesca Binaghi. La questione sollevata, oltre ad apparire rilevante perche' deve trovare concreta applicazione nel presente giudizio, appare anche non manifestamente infondata. L'imputato Dormishi deve rispondere in questa sede della violazione dell'art. 14, comma 5-ter del d.lgs. n. 286/1998 perche', quale cittadino straniero colpito dall'ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato non ha ottemperato a tale intimazione se e' vero come e' vero che e' stato fermato e, conseguentemente, arrestato in Fenegro' a bordo di un autocarro condotto da altra persona (vedi il provvedimento del Questore di Como del 23 maggio 2006 disposto in esecuzione del decreto di espulsione del Prefetto di Como emesso in pari data). L'istruttoria dibattimentale condotta subito dopo la convalida dell'arresto a seguito dell'instaurazione del rito direttissimo ha permesso di accertare che il Dormishi risiede in Italia gia' da quando era minorenne nel 1999 e che da anni convive stabilmente con una cittadina italiana con la quale ha instaurato una stabile relazione affettiva tante' che e' in attesa di contrarre matrimonio con lei al piu' presto. Le dichiarazioni rese sul punto dall'arrestato in sede di interrogatorio, infatti, hanno trovato pieno riscontro nei documenti e nelle deposizioni testimoniali acquisite. Emerge dagli atti che il Dormishi, giunto in Italia nel 1999, in quanto minorenne senza fissa dimora e senza alcun familiare che si facesse carico di lui, e' stato affidato al Comune di Como per essere collocato in idonea struttura (vedi il decreto del Tribunale dei minorenni di Milano del 4 ottobre 1999). Risulta altresi' che egli venne collocato presso la Casa Famiglia di Como e che ebbe modo di seguire un percorso di crescita personale oltre che di avviamento ed inserimento lavorativo poiche' frequento' un corso di lingua italiana ed uno di addetto ai servizi alberghieri in cio' seguito dai volontari del «Coordinamento Comasco Profughi ed Emigrati»: il che indusse il Tribunale dei minorenni a disporre che il suo affidamento al Comune di Como proseguisse anche dopo il compimento della maggiore eta' e fino al compimento del ventunesimo anno (vedi il decreto del Tribunale dei minorenni di Milano del 17 dicembre 2001 e vedi altresi' la copia del primo permesso di soggiorno rilasciato al Dormishi in data 5 ottobre 1999 per motivi di «affidamento»). E' infine, documentato in atti che il Dormishi scaduto il ventunesimo anno di eta' nonostante il mancato rinnovo del permesso di soggiorno (di cui l'arrestato e' pacificamente sprovvisto) ha continuato a risiedere in Italia dove, nel frattempo ha iniziato una stabile relazione affettiva con una donna italiana separata in attesa di divorzio, Tedesco Margherita, relazione affettiva che, a far data dal 2005 si e' tradotta in una stabile convivenza. Anche in questo caso le dichiarazioni rilasciate sul punto dall'arrestato hanno trovato pieno conforto oltre che in alcuni documenti (vedi ad esempio il verbale di denuncia di furto di autovettura che l'arrestato presento' in data 15 marzo 2006 alla Stazione dei carabinieri di Lurate Caccivio dando atto di abitare in Albiolo in via Patriarca n. 12, che e' esattamente l'abitazione intestata a Tedesco Margherita come risulta, ad esempio dalla fattura commerciale intestata alla donna e relativa alla tassa rifiuti dell'anno 2005; vedi altresi' la dichiarazione sostitutiva di atto di notorieta' datata 12 febbraio 2007 con cui la donna dichiara di essere convivente con il Dormishi dal 2005 e di avere vissuto prima in Albiolo in via Petrarca, n. 12 e poi in Beregazzo con Figliaro in via Risorgimento, n. 6) anche nelle dichiarazioni rilasciate in pubblico dibattimento sia dalla stessa Tedesco Margherita (la quale ha confermato di convivere con il Dormishi gia' da tre anni e di essere in attesa della sentenza di divorzio per contrarre matrimonio con lui) e soprattutto dal teste Capiaghi Luigi Presidente del Coordinamento Comasco Profughi e Immigrati di Sagnino (il quale ha confermato di avere frequentato negli anni l'abitazione del Dormishi che, a sua memoria, da oltre tre anni vive con la signora Tedesco la quale sta aspettando il divorzio per coniugarsi con lui). Siamo pertanto a fronte di una relazione di convivenza di fatto che non e' semplicemente dichiarata dagli interessati ma che e' ampiamente comprovata da riscontri documentali e testimoniali, una relazione che per la sua stabilita' e per la sua natura meriterebbe di ricevere la stessa tutela che, nell'attuale ordinamento, riceve la stabile convivenza con una persona italiana con cui si e' contratto matrimonio. Ed invece, mentre in tale ultimo caso lo stesso d.lgs. n. 286/1998 all'art. 19, comma 2, lett. c), operando un bilanciamento tra l'interesse costituzionalmente protetto alla tutela della vita e degli affetti familiari e quello di regolamentare l'accesso degli stranieri nel territorio nazionale, vieta che possa essere disposta l'espulsione dello straniero, nel primo caso, ovvero nel caso che qui ci riguarda, nulla e' detto e, pertanto, alla luce della interpretazione letterale e sistematica della norma l'odierno arrestato non ha alcun diritto di restare nel territorio italiano dove ha ormai intrapreso un evidente percorso di integrazione per avere scelto da anni di convivere e di condividere la sua vita con una cittadina italiana. E neppure e' in alcun modo possibile una interpretazione adeguatrice della norma invocata in maniera tale da ritenerla applicabile anche al caso concreto: lo si e' gia' detto che il dato letterale e' esplicito sul punto (ed elenca casi specifici tra i quali non rientra quello che qui ci occupa) e peraltro il carattere derogatorio dell'art. 19 del d.lgs. n. 286/1998 ne impedisce una interpretazione analogica ad altri casi in essa non contemplati. Pertanto, nel caso di specie, coerentemente il Prefetto di Como, considerato che l'imputato non e' piu' in possesso di un regolare permesso di soggiorno, ha emesso nei suoi confronti un decreto di espulsione (vedi il decreto del 23 maggio 2006) ed in esecuzione di tale decreto il questore ha notificato all'arrestato l'intimazione ad allontanarsi dal territorio nazionale (vedi l'intimazione del 23 maggio 2006). Occorre, a questo punto, chiedersi se tale disparita' di trattamento possa essere ritenuta ragionevole quando la situazione di fatto presupposta sia assolutamente identica, ovvero quando, come nel caso di specie, vi sia in atto da anni una stabile ed assolutamente verificata convivenza tra uno straniero extracomunitario ed una cittadina italiana e l'unico distinguo risieda nel fatto che in un caso il vincolo affettivo e di convivenza e' certificato dal matrimonio e nell'altro caso no. E per interrogarsi sulla ragionevolezza della disparita' di trattamento occorre interrogarsi sulla ratio della norma di cui si invoca l'incostituzionalita' per verificare se la mancata previsione del divieto di espulsione di un extracomunitario che stabilmente convive, pur senza essere sposato, con una cittadina italiana, possa essere ritenuto ragionevole. Sul punto non puo' non rilevarsi che la norma nella sua ratio, sicuramente pone l'accento sulla realta' sociale della stabile convivenza con una persona italiana e non sulla unione formalizzata tra due persone conviventi: ne e' riprova il fatto che il divieto di espulsione e' previsto anche in caso di convivenza persona diversa dal coniuge laddove stabilisce che non puo' essere espulso lo straniero extracomunitario che conviva con un parente, sempre italiano, entro il quarto grado. Per questo appare contrario ad un principio di ragionevolezza escludere dalla tutela una relazione interpersonale tra un cittadino extracomunitario ed una cittadina italiana che presenti i caratteri di tendenziale stabilita', natura affettiva e parafamiliare, che si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza materiale e morale sol perche' tale relazione non e' stata mai ufficializzata con un matrimonio. Che la norma intenda tutelare la realta' sottesa di fatto, ovvero l'effettiva e stabile e duratura convivenza tra una persona straniera ed una persona italiana trova conferma nel fatto che il semplice vincolo del matrimonio di per se' non e' sufficiente ad impedire che lo straniero venga espulso occorrendo a tal fine che sia comunque dimostrata una convivenza: infatti l'art. 19, comma 2, lett. c) testualmente vieta l'espulsione degli stranieri «... conviventi con parenti entro il quarto grado o con il coniuge di nazionalita' italiana ...»: pertanto e' irragionevole che tale vincolo formale di per se' costituisca il discrimine e che la comprovata e stabile comunanza di vita, di interessi, di affetti non assuma alcun rilievo sol perche' non esiste un riconoscimento formale della convivenza. D'altronde tale relazione di fatto, oltre ad essere costituzionalmente protetta ai sensi dell'art. 2 della Costituzione (trattandosi di formazione sociale nel cui ambito puo' svolgersi la personalita' dell'individuo), in linea con la significativa evoluzione sociale, ha progressivamente assunto rilievo giuridico perche' esprime caratteri ed istanze analoghe a quelle della famiglia stricto sensu intesa ovvero quella fondata sul matrimonio. Se questa e' la ratio legis della norma oggi invocata e che si vorrebbe potesse essere applicata anche al caso concreto di cui ci si occupa, e' irragionevole che nell'elencazione dei soggetti che non possono essere espulsi non compaia anche il cittadino extracomunitario sprovvisto di permesso di soggiorno che convive more uxorio ma stabilmente con una cittadina italiana. Una volta che il legislatore ha riconosciuto l'esigenza di operare una deroga al principio generale in base al quale lo straniero extracomunitario sprovvisto di permesso di soggiorno deve essere espulso non puo' non realizzare interamente le finalita' che con tale deroga ha voluto perseguire che sono nella sostanza quelle di evitare lo smembramento di nuclei familiari che si sono di fatto instaurati con un regime di stabilita' e che si caratterizzano perche' il legame affettivo e di convivenza si e' saldato con un cittadino od una cittadina italiana, il che lascia presupporre che quello straniero e' una persona che ha intrapreso un percorso di piena integrazione nel territorio italiano. Insomma si intende qui invocare l'art. 3 della Costituzione non tanto per la sua portata uguagliatrice, perche' non v'e' dubbio che la condizione del coniuge e' diversa da quella del convivente more uxorio, ma per la irrazionalita' e la contraddittorieta' logica della scelta discrezionale operata dal legislatore nel caso di specie: la situazione della stabile convivenza tra il cittadino straniero extracomunitario e la cittadina italiana e' assolutamente comparabile, perche' assolutamente analoga, alla situazione del cittadino straniero extracomunitario convivente con cittadina italiana con la quale abbia anche contratto matrimonio. L'ufficializzazione del matrimonio nel caso di specie ha il solo scopo di offrire una migliore garanzia in ordine alla effettiva esistenza della situazione di fatto sottesa che la norma intende tutelare che e' quella della stabile relazione affettiva ormai instauratasi tra lo straniero e la cittadina italiana: e nel caso in cui, come nel caso di specie, pur in assenza di un contratto di matrimonio, tale stabile relazione affettiva sia ampiamente comprovata, ogni disparita' di trattamento tra le due situazioni assolutamente comparabili appare irragionevole ed irrazionale. Questo perche' il divieto di espulsione di cui all'art. 19, lett. c) del d.lgs. n. 286/1998 intende in realta' offrire tutela ad una situazione di fatto, ovvero all'abituale e stabile convivenza affettiva di uno straniero con una persona italiana in base al ragionevole presupposto che tale tipo di relazione di fatto sia significativa di pieno e stabile inserimento dello straniero nella societa' italiana: ecco perche' discriminare la posizione dello straniero che conviva stabilmente con la cittadina italiana avendo contratto matrimonio rispetto a quella dello straniero che conviva senza avere contratto matrimonio appare manifestamente irragionevole. D'altra parte e' stata la stessa Corte costituzionale in passato a ribadire che: «... la distinta considerazione costituzionale della convivenza e del rapporto coniugale non esclude affatto la comparabilita' delle discipline riguardanti aspetti particolari dell'una e dell'altra che possono presentare analogie ai fini del controllo di ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione ...» (vedi Corte cost., sent. n. 8 del 1996 e Corte cost. ord. n. 121/2004): e nel caso di specie, per le ragioni suesposte non v'e' razionalita' nel tenere distinta la posizione del convivente more uxorio da quella del convivente sposato. Ne', come chiarito dalla stessa Corte costituzionale con sentenza n. 416/1996 una declaratoria di incostituzionalita' che porti ad aggiungere all'art. 19, lett. c) del d.lgs. n. 286/1998 altre ipotesi di divieti di espulsione rispetto a quelli gia' previsti dalla norma deve ritenersi vietato dal carattere derogatorio della norma rispetto alla regola generale in base alla quale gli stranieri extracomunitari possono trattenersi in territorio italiano solo se muniti di permesso di soggiorno. Il legislatore, infatti, «... una volta riconosciuta l'esigenza di un'eccezione rispetto ad una normativa piu' generale, non puo', in mancanza di un giustificato motivo, esimersi dal realizzarne integralmente la ratio senza per cio' stesso peccare di irrazionalita'...». Altre questioni di illegittimita' sollevate d'ufficio. Ritiene altresi' il giudice di dovere sollevare altra questione di illegittimita' costituzionale, con riferimento all'art. 13, comma 3-bis laddove prevede che «nel caso di arresto in flagranza o di fermo, il giudice rilascia il nulla osta all'atto della convalida, salvo che applichi la misura della custodia cautelare in carcere ai sensi dell'art. 391 comma 5, del codice di procedura penale, o che ricorra una delle ragioni per il quale il nulla osta puo' essere negato ai sensi del comma 3». Dalla rigorosa applicazione del disposto di cui al comma 3-bis dell'art. 13 del d.lgs. n. 286/1998 consegue l'obbligo, per il giudice che ha convalidato l'arresto, del rilascio del nulla osta al questore affinche' venga disposta l'espulsione dell'imputato. Espulsione che, nel caso in esame, consistera' nell'accompagnamento dello straniero alla frontiera a mezzo della forza pubblica. L'imputato, dunque, a seguito dell'obbligato rilascio di nulla osta dovrebbe essere immediatamente espulso con accompagnamento alla frontiera. L'art. 17 del d.lgs. n. 286/1998, intitolato «diritto di difesa» dispone, a sua volta, che «lo straniero parte offesa ovvero sottoposto a procedimento penale e' autorizzato a rientrare in Italia per il tempo strettamente necessario per l'esercizio del diritto di difesa, al solo fine di partecipare al giudizio o al compimento di atti per i quali e' necessaria la sua presenza. L'autorizzazione e' rilasciata dal questore anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare su documentata richiesta della parte offesa o dell'imputato o del difensore». La disciplina richiamata determina infatti un automatismo nel rilascio del nulla osta, al quale consegue la espulsione immediata dello straniero eseguita dal questore mediante accompagnamento alla frontiera. Tale disciplina contrasta con la possibilita' e il diritto (costituzionalmente garantito) per l'imputato di difendersi, e dunque di fare emergere anche ed eventualmente il proprio diritto ad essere nel territorio dello Stato italiano. La questione sollevata deve essere ritenuta, pertanto rilevante sia con riferimento all'art. 10 della Costituzione, e dunque in considerazione della condizione giuridica dello straniero (soprattutto ove vengano in rilievo, a seguito della applicazione della normativa censurata, lesioni di diritti e liberta' fondamentali democratiche garantite dalla nostra Costituzione, e cio' nel senso che una immediata espulsione potrebbe portare il soggetto straniero a rientrare in uno Stato dove appunto per la sua condizione personale tali liberta' non siano attribuite e garantite), che con riferimento all'art. 24 (correlato per i motivi che seguono all'art. 111 della Costituzione). Difatti la applicazione rigorosa della disciplina di legge di cui all'art. 13 del d.lgs. n. 286/1998 comporterebbe una sostanziale e concreta lesione del diritto dell'imputato in un procedimento penale, qualunque sia la nazionalita' dello stesso, ad una piena difesa ex art. 24 della Costituzione e ad un giusto processo (con pieno svolgimento delle funzioni connesse alla difesa) ex art. 111 della Costituzione. In particolare, quanto all'art. 10, occorre considerare come sebbene sia stata per lungo tempo sostenuta la teoria del dominio riservato dello Stato quanto alla gestione della condizione giuridica dello straniero, tuttavia tale principio abbia subito una costante e progressiva erosione in virtu' di interpretazione sopravvenuta secondo la quale lo Stato italiano e' tenuto a parificare 1a condizione giuridica dello straniero a quella dei cittadini tutte le volte che cio' non contrasti con i suoi preminenti interessi. Tale principio e' chiaramente deducibile dalla previsione di cui all'art. 10, secondo comma e terzo comma della Costituzione, che richiama la tutela dei diritti inviolabili dell'uomo e il diritto all'asilo, con l'unico limite rappresentato dalla impossibilita' per lo straniero di esercitare diritti e doveri politici, ovvero situazioni giuridiche strettamente connesse alla qualita' di cittadino. Dalla applicazione di tali principi consegue il riconoscimento del diritto dello straniero a soggiornare nello Stato italiano sia alle condizioni ordinarie previste dalla legge (per effetto del rilascio del permesso di soggiorno) che in considerazione del riconoscimento di eventuale diritto di asilo (o diritto al ricongiungimento familiare o altre ipotesi previste dalla legge). Tali principi interpretativi risultano tra l'altro recepiti nell'ordinamento giuridico italiano anche nella previsione di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 286/1998, nonche' dall'art. 10, comma 4, d.lgs. n. 286/1998, secondo il quale le norme sul respingimento alle frontiere e sulla espulsione non si applicano nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero la adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari. In tal senso si ritiene rilevante la questione di legittimita' costituzionale nel senso che occorra verificare la irragionevolezza di una disposizione che mediante un automatismo «irrazionale» (Corte cost. n. 174/1997) impedisce al giudice una verifica del bilanciamento degli interessi coinvolti (ovvero gestione efficace dei flussi di immigrazione clandestina e diritto di difesa e partecipazione dello straniero al processo, anche per fare valere la ricorrenza di diritti tutelati ex art. 10 della Costituzione). Inoltre si valuta in senso positivo la fondatezza della questione sollevata poiche' l'automatismo previsto appare limitativo e avulso dal contesto dei diritti fondamentali del nostro ordinamento, mentre sembrerebbe opportuno riscontrare la necessita' o meno che sia il giudice in sede giurisdizionale, sulla base del suo apprezzamento prudente, a distinguere le diverse condotte da sussumere nella astratta previsione di legge (Corte cost. n. 24/1989), od eventualmente per assicurare in caso di vuoto normativo adeguata tutela dei diritti costituzionali. In concreto la previsione di cui all'art. 17 del d.lgs. n. 286/1998 non appare adeguata allo scopo di garantire un pieno diritto di difesa del soggetto straniero oggetto di nuovo provvedimento di espulsione (art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998): sembra predisporre una garanzia di difesa meramente formale e non volta a rendere possibile una sostanziale ed effettiva difesa e partecipazione del soggetto straniero imputato al processo. In tal senso non puo' non essere rilevato come dalla espulsione con accompagnamento alla frontiera conseguano per lo straniero una serie di effetti onerosissimi e tali da rendere di fatto impossibile la partecipazione dell'imputato al processo e la predisposizione di una valida difesa dello stesso. Sara' difatti estremamente improbabile che i soggetti arrestati, perche' nelle condizioni di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998 come il Sali Habib, riescano ad essere nelle condizioni economiche e materiali necessarie per ottenere il permesso dal questore, mediante rappresentanza diplomatica e consolare e previa adeguata giustificazione, per rientrare in Italia per il tempo strettamente necessario per l'esercizio del diritto di difesa (concetto questo quanto mai vago e con cio' suscettibile di interpretazioni varie e in senso restrittivo quanto al rientro) o per gli altri incombenti previsti dalla norma. L'interprete della norma non puo' non considerare le condizioni materiali dei soggetti coinvolti e destinatari della disciplina del presente procedimento, e dunque la oggettiva impossibilita' degli stessi, una volta espulsi, di trovare adeguata protezione e tutela nel disposto di cui all'art. 17 del d.lgs. n. 286/2002 contrariamente a quanto previsto per ogni cittadino o straniero comunitario ai sensi dell'art. 24 e 111 della Costituzione. Le previsioni costituzionali citate appunto prevedono per l'imputato la possibilita' di essere informato nel piu' breve tempo possibile della natura e dei motivi della accusa elevata a suo carico, di avere a disposizione tempo e condizioni tali da rendere possibile una adeguata difesa, di essere interrogato o rendere dichiarazioni al giudice, di interrogare o fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di riuscire ad acquisire ogni altro mezzo di prova a suo favore. Ne' si puo' ritenere concretamente realizzabile una tale ipotesi per il tramite del mandato espletato dal difensore (molto spesso nominato d'ufficio ai sensi della legge n. 60/2001), che dovrebbe dunque assumersi l'onere di ricercare il soggetto imputato (nella maggioranza dei casi privo di fissa dimora e di mezzi di sussistenza), di predisporre i contatti tra lo stesso imputato e la rappresentanza consolare o diplomatica di apportare una adeguata motivazione allo scopo del rientro con conseguenti oneri economici (che poi probabilmente andrebbero a gravare in capo allo Stato ove lo straniero goda dei requisiti per accedere al patrocinio a spese dello Stato ex art. 1, comma 6 della legge n. 217/1990 e seguenti modifiche, con ulteriore irragionevolezza evidente quanto all'aumento esponenziale dei costi di un tale procedimento penale). Ancora occorre evidenziare come la disposizione di cui all'art. 17 si presenti in contrasto, e dunque foriera di equivoci e difficolta' per il destinatario quanto all'esercizio del proprio diritto di difesa, con la previsione di cui all'art. 13, comma 13, come modificato dalla legge n. 189/2002 secondo il quale «lo straniero espulso non puo' rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno». Emerge dunque una disciplina ambigua o comunque contraddittoria con la conseguenza che lo straniero potrebbe trovarsi a chiedere la autorizzazione al questore e poi essere ritenuto in difetto e dunque passibile di nuova e piu' grave sanzione per non aver richiesto la autorizzazione anche al Ministro dell'interno. Una ulteriore previsione di legge vale a rendere non manifestamente infondata a parere di questo giudice la questione sollevata quanto all'automatismo del meccanismo di concessione del nulla osta, dal quale consegue la espulsione con accompagnamento alla frontiera. L'art. 13, comma 3-quater prevede infatti che «nei casi previsti dai commi 3, 3-bis (caso in esame) e 3-ter, il giudice, acquisita la prova della avvenuta espulsione, se non e' ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere». La norma sembra quasi prevedere un obbligo per il giudice e per il pubblico ministero di bloccare l'esercizio della azione penale ove sia stata effettivamente eseguita la espulsione, e dunque una impossibilita' per lo straniero arrestato di accedere ad un giusto processo quanto ai fatti contestati con chiara violazione dell'art. 111 della Costituzione, dell'art. 24 Costituzione quanto al diritto di difesa, ed ancora dell'art. 3 della Costituzione in relazione al disposto di cui agli art. 5, commi 4 e 6 della legge n. 848/1955 (ratifica della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali), che appunto prevedono il diritto per ogni persona privata della propria liberta' con un arresto a presentare un ricorso davanti ad un tribunale affinche' decida sulla legittimita' della sua detenzione, ed ancora il diritto a che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole da parte di un tribunale indipendente e imparziale costituito dalla legge quanto al fondamento di ogni accusa penale. In sostanza la previsione predetta sembra superare tali principi giungendo tra l'altro a configurare anche una ipotesi di contrarieta' alla previsione di cui all'art. 13 della Costituzione ipotizzando un caso di restrizione della liberta' personale (arresto obbligatorio) che non trova il suo naturale sbocco nel vaglio giurisdizionale e nell'esercizio della azione penale, che viene invece sostituita da una pronunzia di non luogo a procedere conseguente alla avvenuta esecuzione della espulsione che consegue dal rilascio, obbligatorio e sostanzialmente automatico, del nulla osta da parte della autorita' giudiziaria. La norma predetta poi rivela la sua irragionevolezza e incongruenza, con conseguenti difficolta' applicative e lesione del diritto di difesa, anche in relazione al disposto dell'art. 14 come modificato comma 5-quinquies del d.lgs. n. 286/1998, il quale prevede che «per i reati previsti ai commi 5-ter e 5-quater e' obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto e si procede con rito direttissimo. Al fine di assicurare l'espulsione il questore puo' disporre i provvedimenti di cui al comma 1 del presente articolo». La scelta del legislatore con la quale si impone la adozione di un anomalo rito direttissimo «obbligatorio» si presenta in contrasto non solo con il principio di uguaglianza come sopra richiamato, ma anche con il diritto di difesa. La previsione predetta infatti non consente in concreto da una parte l'esercizio della azione penale secondo i canoni ordinamentali generali (il pubblico ministero ex art. 449. c.p.p. «se ritiene di dover procedere» puo' presentare direttamente l'imputato in stato di arresto davanti al giudice del dibattimento, cosa che potrebbe anche non accadere ove, acquisite le necessarie informazioni, sentiti i soggetti coinvolti, si renda conto che ricorrono circostanze concrete che possano in effetti far ritenere giustificata la presenza sul territorio dello Stato del soggetto arrestato straniero), e dall'altra un pieno esercizio del diritto di difesa con la conseguente possibilita' di svolgere quelle indagini difensive (che trovano poi il loro referente e fondamento normativo nell'art. 111 della Costituzione) che potrebbero condurre la autorita' giudiziaria a riscontrare la presenza di una serie di cause giustificative quanto alla imputazione contestata. Quanto osservato evidenzia come la disciplina richiamata si presenti lesiva delle garanzie fondamentali dell'imputato per come sancite dalla Costituzione, situazione certamente aggravata dall'automatismo del meccanismo di concessione del nulla osta e conseguente espulsione dell'imputato. Ed ancora e a conforto di quanto sopra esposto occorre rilevare come la disciplina di cui all'art. 13, comma 3-quater non appare coordinata con quanto previsto dall'art. 14, comma 3-quinquies in ordine alla eventuale necessita' di pronunziare sentenza di non luogo a procedere quando non e' ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio. Appare infatti fuorviante, e certamente crea incertezza, la coesistenza tra questa previsione e la disciplina appena richiamata di rito obbligatorio direttissimo, con la conseguenza che il soggetto straniero imputato ed arrestato si trova a confronto con norme contraddittorie che rallentano la possibilita' di un effettivo esercizio del diritto di difesa per come costituzionalmente garantito. In tal senso e concludendo non puo' in generale non essere richiamata da questo giudice la irragionevolezza della norma presupposto della disciplina oggetto di questione di legittimita' costituzionale; infatti la concessione del predetto nulla osta, in sostanza automatica, con l'effetto che l'espulsione dello straniero e' una conseguenza necessaria del rilascio sostanzialmente dovuto da parte del giudice del nulla osta con evidente impossibilita' per l'imputato di difendersi adeguatamente. Ad ulteriore conforto della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione occorre poi ricordare come secondo il disposto di cui all'art. 13, comma 3, d.lgs. come modificato dalla legge n. 189/2002 «il nulla osta si intende concesso qualora l'autorita' giudiziaria non provveda entro quindici giorni dalla data del ricevimento della richiesta» (e conseguentemente dalla data dell'arresto per interpretazione analogica e secondo criteri generali della norma). Quanto alle finalita' della normativa citata, e dunque alla efficace realizzazione dell'allontanamento dei soggetti sottoposti a provvedimento di espulsione, si deve osservare come appare suscettibile di considerazione una normativa con la quale nuove ipotesi di reato a carico degli stranieri vengono ipotizzate senza pero' apprestare quelle forme minime di tutela e garanzia di difesa che il nostro ordinamento attribuisce ad ogni soggetto sottoposto a procedimento penale. E dunque si pone il problema di una composizione di interessi e finalita' ordinamentali sancite sia nella legge che nei principi costituzionali, e relativi da una parte alla concreta ed efficace gestione dei flussi di immigrazione clandestina e dall'altra alla tutela dell'imputato a partecipare al proprio processo e a predisporre una adeguata difesa. Tale finalita' sarebbe ovviamente frustrata a causa dell'automatismo del meccanismo di concessione del nulla osta previsto e oggetto della odierna censura, considerato altresi' che al giudice penale adito con rito direttissimo obbligatorio non e' presentata la documentazione relativa al provvedimento di espulsione e di tutti gli atti del procedimento relativo, con la conseguente e oggettiva impossibilita' di valutarne la legittimita' e di rendere possibile al riguardo l'esercizio un completo diritto di difesa. Da cio' consegue che l'accertamento del giudice designato si risolverebbe nel mero riscontro della ricorrenza di un provvedimento di espulsione e nella impossibilita' di vagliare, quale conseguenza dell'esercizio del diritto di difesa la esistenza di eventuali elementi e cause di giustificazione quanto alle nuove ipotesi di reato introdotte, con emissione obbligatoria del nulla osta e conseguente espulsione dello straniero arrestato.